giovedì 5 settembre 2013

Venezia70 - sezione Orizzonti propone EASTERN BOYS di Robin Campillo e il tema degli immigrati clandestini, IN CONCORSO il terzo e ultimo italiano SACRO GRA documentario di Gianfranco Rosi

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Ultime giornate veneziane, si segnala oggi il film nella sezione "Orizzonti" 'Eastern Boys' diretto da Robin Campillo con Olivier Rabourdin, Kirill Emelyanov, Danil Vorobyev, Edea Darcque, Beka Markozashvili la pellicola affronta il difficile tema degli immigrati clandestini, il film è atteso anche al Toronto International Film Festival.
Vengono da tutte le parti dell’Europa dell’est: dalla Russia, dall’Ucraina, dalla Moldavia... Il più vecchio sembra avere non più di venticinque anni; quanto ai più giovani, sarebbe impossibile stabilirne l’età. Se ne stanno sempre a ciondolare alla Gare du Nord, a Parigi. Forse si prostituiscono. Daniel, un uomo discreto sulla cinquantina, ne ha adocchiato uno, Marek. Un giorno trova il coraggio per parlargli. Il giovane accetta di andare a trovarlo l’indomani a casa sua, ma le conseguenze sono del tutto imprevedibili: Daniel dovrà imparare a combattere per difendere se stesso e il giovane dalla reazione violenta del gruppo, capeggiato da un individuo brutale che non ha nessuna intenzione di lasciar andare Marek.
Commento del regista Lungi dal voler giudicare la situazione degli immigrati clandestini, o dal voler essere una riflessione sulla paternità, questo film segue innanzitutto la logica della narrazione. Ritrae delle persone che vivono in clandestinità e che rappresentano l’una per l’altra sia un pericolo che una promessa. Proprio come Daniel che, di fronte ai giovani dell’est, oscilla fra paura e desiderio, anche il film procede fra sentimenti ambigui, situazioni al limite, ma anche, spero, momenti di puro piacere.
 
Arriva in Concorso il terzo e ultimo film italiano (anche se a differenza degli altri due Amelio con 'L'intrepido' e Dante con 'Via Castellana Bandiera', per la pellicola in "mostra" si tratta di un documentario), 'Sacro Gra' diretto da Gianfranco Rosi.
Dopo l’India dei barcaioli, il deserto americano dei drop out, il Messico dei killer del narcotraffico, Gianfranco Rosi ha deciso di raccontare un angolo del suo Paese, girando e perdendosi per più di due anni con un mini-van sul Grande Raccordo Anulare di Roma per scoprire i mondi invisibili e i futuri possibili che questo luogo magico cela oltre il muro del suo frastuono continuo. Dallo sfondo emergono personaggi altrimenti invisibili e apparizioni fugaci: un nobile piemontese e sua figlia laureanda, assegnatari di un monolocale in un moderno condominio ai bordi del Raccordo; un botanico armato di sonde sonore e pozioni chimiche cerca il rimedio per liberare le palme della sua oasi dalle larve divoratrici; un principe dei nostri giorni con un sigaro in bocca fa ginnastica sul tetto del suo castello assediato dalle palazzine della periferia informe a un’uscita del Raccordo; un barelliere in servizio sull’autoambulanza del 118 dà soccorso e conforto girando notte e giorno sull’anello autostradale; un pescatore di anguille vive su di una zattera all’ombra di un cavalcavia sul fiume Tevere. Lontano dai luoghi canonici di Roma, il Grande Raccordo Anulare si trasforma in collettore di storie a margine di un universo in espansione.

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